Ricorso su prelievo del cervo in Abruzzo: le considerazioni di D.R.E.Am. Italia

La nostra cooperativa viene espressamente citata in una nota stampa fatta da WWF inerente il ricorso sul prelievo del cervo in Abruzzo, asserendo che ci sarebbero delle “incongruenze” nel nostro elaborato redatto per la Regione Abruzzo.

Non entriamo in merito di questioni politiche e, anche se ben chiare – purtroppo – neppure nella campagna di strumentalizzazione che si sta tentando di fare sulla vicenda.

Quando infatti si accosta il nome della nostra cooperativa – che da quasi 50 anni si occupa di ambiente, foreste, sostenibilità e lotta ai cambiamenti climatici con professionisti provenienti dal mondo accademico – all’espressione “pianificazione di uccisione”, si fa subito un gesto che manca della base scientifica ma soprattutto di quella deontologica.

Cercheremo quindi, nei limiti del possibile – dettati da spazio e complessità delle materie trattate – di rispondere su un piano appunto tecnico-scientifico lasciando ad altri questioni a noi estranee.

Nel 2020 la Regione Abruzzo ha approvato il Piano Faunistico Venatorio Regionale, nel cui iter, come prevede la legge, sono stati coinvolti tutti i vari portatori di interesse.

È bene dire, in prima battuta, che D.R.E.Am. Italia ha agito nel pieno rispetto del suddetto piano, mettendo in campo la sua più che quarantennale esperienza, nell’utilizzo di protocolli scientifici approvati da anni dalla comunità internazionale, nonché di professionisti che stanno seguendo ricerche applicate sul campo da svariate decine di anni sulla materia e che collaborano da anni con MASE e ISPRA per la stesura di linee guida in materia di conservazione e gestione dalla fauna selvatica.

Prima di fare chiarezza sull’utilizzo, spesso inappropriato di alcuni termini, ci appare necessario far presente che D.R.E.Am. Italia ha fatto un’analisi dei dati forniti dalla Regione Abruzzo secondo i protocolli oggi in essere tra la comunità scientifica nazionale e internazionale con la quale esiste un confronto diretto.

Confusione viene fatta in primo luogo sui termini di “controllo” e “caccia”, due attività che (anche se in apparenza simili) si basano su presupposti completamente diversi in base alla normativa vigente a cui si rimanda per approfondimenti, e di cui si fa solo un accenno auspicando che il lettore attento intenda approfondire l’argomento anziché farsi trascinare da slogan di chiaro stampo propagandistico basato sulle emozioni e non sui fatti reali

Il concetto di “controllo” di una specie è un’attività che deve essere motivata da specifici e reiterati conflitti con attività antropiche o di interazione negative con specie e habitat. La “caccia”, invece, non richiede nessuna motivazione se l’attività è compatibile con la conservazione delle specie.

Conservare un patrimonio significa invece garantirne la sua permanenza nel tempo in un dato territorio; per gli ungulati in particolare l’obbiettivo fondamentale, a fronte di una riduzione della popolazione compatibile appunto con la conservazione, è quello di non alterare la naturale struttura di popolazione (rapporto tra diverse classi di sesso e di età) al fine di non introdurre fattori negativi nella popolazione.

Nel ricorso leggiamo errori di non conoscenza anche per quanto riguarda i soggetti che raccolgono i dati numerici attraverso conteggi a vista. È infatti essenziale sapere che il personale impiegato non appartiene in via esclusiva al mondo venatorio, ma a questi conteggi partecipano anche figure istituzionali sia in modo diretto sia con funzioni di sorveglianza sulle attività: Carabinieri Forestali, Guardiaparco, Polizia Provinciale e guardie volontarie.

Il personale appartenente al mondo venatorio può partecipare solo a seguito della partecipazione a un percorso formativo indicato e riconosciuto da ISPRA e nel rispetto dei Regolamenti Regionali. La partecipazione ai corsi di formazione non è facoltativa ma obbligatoria, prevede anche esercitazioni in campo e superamento di prova finale scritta ed orale di fronte ad una Commissione della Pubblica Amministrazione. In questo in Italia, nella storia recente, sono stati fatti passi in avanti enormi e la Regione Abruzzo ha attivato la formazione molti anni prima della presentazione del primo piano di prelievo, proprio nella consapevolezza dell’importanza di disporre di personale formato in materia.

La Regione Abruzzo, in questo, non è una pioniera, ma segue protocolli attivati in tutta Europa.

C’è un altro concetto importante da considerare che è quello di “popolazione minima accertata”, cioè il numero minimo certo di animali presenti sul territorio. Questo numero, se si analizza la bibliografia e i documenti tecnici disponibili, risulta essere sempre una sottostima del numero effettivo di animali presenti sul territorio, e questo è legato alla loro particolare etologia che li rende schivi in particolare in ambienti caratterizzati da coefficienti boschi importanti.

L’estensore del piano, quindi, sarebbe stato in errore, o peggio in malafede, se avesse utilizzato quella serie storica di dati per definire una dinamica di popolazione affidabile, invece si è limitato ad osservare che questo non è possibile. Non può comunque essere trascurato il fatto che il dato di partenza, riferito al 2018, è contenuto nel PFVR redatto da ISPRA e sottoposto a tutti gli iter burocratici di approvazione, compresi i tavoli di concertazione con le parti sociali nel pieno rispetto della normativa vigente.

Perplessità in merito alla possibile formulazione di un pano di prelievo avrebbero potuto sorgere solo se i conteggi degli anni successivi si fossero discostati in modo evidente (ed in difetto e non in eccesso) dal dato di partenza del 2018; da precisare, infine, che l’unico dato che ha un valore abbastanza diverso è riferito all’anno in cui le restrizioni derivanti dall’emergenza COVID 19 ha limitato le attività di campo.

Ci permettiamo inoltre di evidenziare, perché di nostra specifica competenza, la natura strumentale dell’affermazione seguente: “Anche in riferimento agli ultimi 3 anni non v’è alcuna certezza scientifica sulla consistenza della popolazione dei Cervi, poiché nella Relazione si ammette che i dati rappresenterebbero solo “probabilmente” la reale situazione” .Per questo è necessario richiamare ancora una volta il concetto di popolazione minima accertata e pertanto, come si può evincere leggendo l’intero testo di riferimento e non singole frasi, comprendere che la situazione sicuramente non è quella reale, ma in difetto e non certo in eccesso.

Non deve inoltre essere trascurato il fatto che la densità viene calcolata sull’intera superficie di riferimento, e non sull’area effettivamente idonea alla specie, che comporterebbe un incremento significativo della densità. In ultimo, ma non in ordine di importanza, si ricorda che la densità è basata sulla consistenza minima accertata che rappresenta una sottostima della popolazione.

Assolutamente strumentale, non basata cioè su solide basi scientifica, e invece orientata alla sensibilità di alcune parti sociali, è inoltre il riferimento all’abbattimento di “cuccioli di età inferiore ai 12 mesi”. Comprendiamo perfettamente che la finalità di questa estrapolazione è solo l’impatto mediatico che può causare. In realtà è bene ribadire che il piano di prelievo, nel rispetto delle principali leggi sulla biologia e tradotte in linee guida anche da ISPRA, prevede che i piani di prelievo siano equilibrati tra tutte le classi di sesso e di età al fine di non introdurre nella popolazione eventuali squilibri in termini di struttura di popolazione.

La ricerca di un nesso di causalità tra la numerosità dei cervi e danni in agricoltura non trova nessun riferimento nella normativa vigente per la adozione del piano di prelievo in caccia (“La distribuzione delle osservazioni non è coerente con quella dei danni, e dalla lettura effettuata non emerge un inequivocabile nesso di causalità tra la numerosità di Cervi e i danni all’agricoltura (v. relazione Pellegrini: doc. 11 pag. 6)”). Sempre in merito al nesso tra causa ed effetto l’osservazione di seguito “Non viene poi stimato in nessun modo in che misura l’intervento venatorio possa portare alla riduzione dei danni” non trova ancora riscontri in quanto il piano di prelievo, consentito dalle leggi vigenti, non deve essere supportato da questo tipo di informazione: si ribadisce che l’obbiettivo della gestione non è quello di ridurre gli impatti alle coltivazioni.